La notizia è scioccante: Israele ha colpito una postazione dell’UNIFIL (Forza Internazionale di Interposizione in Libano), alimentando ulteriormente le tensioni in una regione già devastata da decenni di conflitto. Questo episodio rappresenta solo l’ultimo di una lunga serie di attacchi che hanno posto Israele al centro di critiche internazionali, soprattutto per il suo trattamento della popolazione palestinese.
Il conflitto israelo-palestinese è segnato da una tragica realtà: un genocidio silenzioso perpetrato ai danni del popolo palestinese, che si consuma da decenni sotto lo sguardo impotente del mondo. Il termine “genocidio” non viene impiegato alla leggera, ma descrive con precisione la sistematica distruzione non solo fisica, ma anche culturale, politica ed economica di una popolazione. I bombardamenti su Gaza, l’espansione delle colonie in Cisgiordania, la demolizione di abitazioni e l’oppressione quotidiana nei territori occupati delineano l’immagine di un popolo schiacciato e privo di voce.
L’Occidente, anziché agire in modo concreto per porre fine a questa tragedia, spesso adotta una posizione ambigua, se non addirittura apertamente complice. Gli Stati Uniti, storici alleati di Israele, forniscono armi, finanziamenti e supporto diplomatico, proteggendo Israele da qualsiasi risoluzione delle Nazioni Unite che tenti di condannare le sue azioni. Anche in Europa la situazione non è molto diversa: le sanzioni proposte contro altri Paesi per violazioni dei diritti umani sembrano un’utopia quando si tratta di Israele, nonostante l’evidente occupazione e repressione in atto.
Questa complicità è particolarmente evidente nel silenzio delle istituzioni occidentali di fronte alle violazioni israeliane. Israele continua a beneficiare di relazioni economiche privilegiate con l’Unione Europea, mentre le voci critiche che tentano di mettere in luce la situazione palestinese vengono spesso ignorate o minimizzate. La politica occidentale è prigioniera di interessi economici, diplomatici e militari, e la lobby israeliana svolge un ruolo determinante in questo sistema.
Uno degli sviluppi più preoccupanti è il progressivo disinteresse della sinistra italiana e dei sindacati, come la CGIL. Negli anni passati, la sinistra italiana si era schierata fermamente a favore dei popoli oppressi, incluso quello palestinese. Durante gli anni ’70 e ’80, la CGIL e altre organizzazioni sindacali italiane si mobilitavano in massa contro le violazioni dei diritti umani, partecipando a manifestazioni, scioperi e atti di solidarietà internazionale.
Oggi, tuttavia, tale impegno sembra essersi dissolto. Di fronte alle palesi ingiustizie subite dai palestinesi, le principali organizzazioni della sinistra italiana e la CGIL rimangono in un silenzio complice, quasi come se la questione non fosse più rilevante. La CGIL, in particolare, ha perso gran parte della sua capacità di mobilitare le masse per cause internazionali. Questo non è solo un segno di disinteresse, ma il sintomo di una crisi più profonda che riguarda il ruolo della sinistra e del sindacato nella società contemporanea.
Il declino dell’impegno della sinistra e dei sindacati nella lotta per i diritti dei palestinesi non è un fenomeno isolato. Riflette una crisi più ampia della sinistra occidentale, sempre più preoccupata di preservare il proprio status quo all’interno delle istituzioni, anziché portare avanti battaglie rivoluzionarie. Le divisioni politiche tra i partiti, soprattutto in Italia, sembrano sempre più fittizie. Come sottolineava l’ex premier Mario Draghi: “L’Italia ha il pilota automatico”, lasciando intendere che, a prescindere da chi vinca le elezioni, le decisioni cruciali vengono prese altrove, da forze economiche e politiche superiori. Queste forze, spesso rappresentate da potenti lobby finanziarie e internazionali, tra cui la lobby israeliana, esercitano un controllo sostanziale sulle scelte di politica estera dei governi occidentali.
La sinistra italiana e i sindacati come la CGIL devono riflettere sulla loro responsabilità storica. Il genocidio dei palestinesi non può essere ignorato o giustificato con il pretesto di equilibri politici o economici. Le voci critiche all’interno della sinistra, così come nel sindacato, devono risollevarsi per denunciare le ingiustizie e mobilitare i lavoratori e la società civile. Solo attraverso una rinnovata mobilitazione sarà possibile riportare al centro del dibattito i diritti umani e la lotta contro le oppressioni, sia all’interno che al di fuori dei confini italiani.
Il genocidio dei palestinesi rappresenta una delle più grandi tragedie del nostro tempo. Il silenzio dell’Occidente, della sinistra italiana e della CGIL è una grave omissione di fronte a questa realtà. Per recuperare la propria dignità e il proprio ruolo storico, la sinistra e i sindacati devono risvegliarsi e tornare a combattere per la giustizia, sia a livello nazionale che internazionale. La questione palestinese deve tornare al centro dell’agenda, e il movimento sindacale italiano deve riscoprire la sua capacità di essere una voce forte e coerente contro ogni forma di oppressione.