La mia isola è una musa silenziosa che si erge fiera tra il mare e il cielo. Anche se porta su di sé le cicatrici di un’illusione infranta, la sua meravigliosa conformazione la rende uno dei luoghi più suggestivi e avvolgenti del pianeta. Ringraziando madre natura, che ha conferito a ogni sua parte unicità e bellezza, gli sfregi subiti da un modello di sviluppo sbagliato non ne hanno stravolto la fisionomia. Seppur non più integra come una volta, rimane quasi immutata, come se il tempo stesso avesse pietà della sua maestosità.
È una terra di contrasti, aspra e dolce, dove il vento sussurra tra scogli di granito le storie antiche dei miti e di eroi sconosciuti, i cui nomi non bisogna pronunciare per non profanare con la parola il suono primordiale che li ha generati. Misteriosa è la voce del suo mare, ammalianti le sinuosità delle sue onde, che quando Eolo le plasma, evocano un sentimento di sacra ammirazione. Non vi è figlio del suo grembo che non sappia di cosa parlo: questa mia stessa descrizione si dissolve di fronte a ogni suo incanto.
Non è difficile immaginare che una forza divina e prodigiosa l’abbia tenuta a battesimo, creando i canoni universali della bellezza. Chi può dubitare, volgendo lo sguardo al cielo stellato in una delle sue magiche notti d’estate, che Urano l’abbia scelta come talamo nuziale? Il dio, congiungendosi alla schiuma generata dai venti di ponente e maestrale che dominano la costa per gran parte dell’anno, l’ha scelta per dare alla luce Afrodite, dea della bellezza.
Donata all’uomo, che quando non preda, uccide o muore, fa l’amore. Immaginatevela emergere dai flutti già donna, vestita del solo profumo della macchia mediterranea. La sua essenza, mescolandosi alle gocce salate che luccicano come diamanti sulla sua pelle, le conferisce un fascino così penetrante da fermare persino il battito al cuore del Tempo. Irriducibile nemico e carceriere, che non vuole saperne di svelarci il segreto dell’eternità.
Eppure, dietro questa bellezza immortale si cela l’ombra di un’illusione: quella di un progresso industriale che avrebbe dovuto portare ricchezza e prosperità, e che invece ha lasciato dietro di sé solo distruzione. L’industria chimica di base, con le sue promesse di modernità, è arrivata come un miraggio che si è presto trasformato in un incubo. Fabbriche e impianti si sono insediati sulle sue coste, promettendo lavoro e benessere per fermare l’emorragia dei suoi tanti figli migranti. Ma hanno avvelenato l’aria e le acque di alcune sue parti, corrodendo non solo la terra, ma l’anima stessa dei suoi abitanti. Quelle che un tempo erano aree rigogliose ora sono macchiate di disastri, e i fumi delle ciminiere, che fortunatamente si stanno diradando, hanno velato gli occhi di un’intera generazione, separandola dal vero senso della vita.
Miracolosamente, non abbiamo perduto tutto. Molti sono i luoghi, scampati allo scempio, ancora incontaminati. Il mare, che ha sempre cantato in armonia con il vento, sembra aver trovato il modo di purificarsi, di liberarsi delle macchie nere di catrame e degli oltraggiosi liquami che per decenni le petroliere gli hanno riversato addosso. Le sue lacrime salate hanno lavato via il dolore, ma il ricordo del tradimento resta inciso nella sua memoria.
La mia terra resiste, come io stesso ho provato a fare quando vestivo i panni di dirigente sindacale. Ho lottato per cercare un’alternativa all’inganno che si prospettava. Avrei voluto che l’inevitabile dismissione delle ormai residue attività legate alla chimica di base fossero compensate con un reale progetto di risanamento e riconversione. Ma l’inganno è passato, come tutti gli altri che lo hanno preceduto. Venne promessa una chimica verde che non è mai fiorita, anzi, non è stata nemmeno impiantata. Così una vastissima area del nostro territorio è ancora lontana dall’essere liberata dalla contaminazione dei veleni che la sommergono.
Chi scrive, insieme ad altri, è stato cacciato dall’organizzazione in cui aveva creduto. Al contrario, chi ha permesso o accettato supinamente questo stato di cose è stato premiato. Una realtà tanto ripugnante quanto penosa.
Ma la mia terra, come una roccia battuta dalle onde, si rifiuta di cedere alle anime già nate morte, al potere distruttivo dell’uomo. La sua integrità, anche se fragile, non è stata spenta. La Sardegna non è solo un luogo fisico, ma un ideale che vive nel cuore di chi la ama, di chi non la tradisce per scopi egoistici.
La mia terra, come gli uomini giusti, non si lascia piegare. Ancora oggi le sirene incantatrici del dio denaro cercano di sedurla, di corromperla, ma lei è troppo fiera, troppo radicata nel suo mito per cedere. Anche di fronte al fallimento dell’industria chimica e al disastro che ha lasciato dietro di sé, Sardegna mantiene la sua anima intatta. La sua vera ricchezza non è da ricercarsi nelle fabbriche di veleni. Le attività produttive possono e devono coesistere con il suo tessuto naturale. Nuovi insediamenti potranno essere accolti, ma a patto di liberare e risanare le aree compromesse, e senza consumare altro territorio. Si può e si deve crescere senza distruggere, senza assassinare nostra madre natura.
Sardegna, Il tuo spirito immortale, l’essenza che scorre come linfa vitale nelle vene dei tuoi figli buoni, dovrà riscattare i tremendi errori di cui si è macchiata la mia generazione. Bisogna imparare a spezzare e dividere il pane senza arrecare alcun male. C’è chi cerca di soffocare il tuo canto, di domare la tua natura indomabile, ma tu resisti. Del resto tra mito e realtà, tra passato e presente, sei l’isola che non si può possedere, solo rispettare.