La libertà di espressione, considerata uno dei pilastri delle democrazie occidentali, è sempre più messa in discussione, e l’episodio di Desio, in provincia di Monza e Brianza, ne rappresenta un chiaro esempio. Marco Borella, apicoltore che come ogni settimana esponeva i suoi prodotti al mercato, ha voluto manifestare il proprio dissenso nei confronti delle violenze in Medio Oriente. Sul suo banchetto del miele ha deciso di affiggere uno striscione con la scritta “Stop bombing Gaza, stop genocide”. Un gesto apparentemente innocuo, ma che ha immediatamente attirato l’attenzione dei Carabinieri.
Lunedì mattina, a seguito di una chiamata anonima, le forze dell’ordine hanno intimato a Marco di rimuovere lo striscione, considerandolo “propaganda politica non autorizzata”, e lo hanno sanzionato con una multa di 430 euro. L’apicoltore ha deciso di non cedere alle pressioni, mantenendo lo striscione in bella vista e accettando la contravvenzione. Tuttavia, la repressione ha comunque ottenuto il suo obiettivo: Marco, consapevole del rischio di ulteriori multe, probabilmente non esporrà più quel messaggio di denuncia. Nei prossimi giorni presenterà ricorso, ma intanto si è già manifestata l’ennesima dimostrazione di quanto sia sempre più difficile esprimere una posizione scomoda.
Questo episodio, che potrebbe sembrare un caso isolato, si inserisce in un quadro più ampio di repressione del dissenso. In un momento storico in cui il conflitto in Medio Oriente raggiunge nuovi apici di violenza e devastazione, le voci critiche vengono messe a tacere con crescente determinazione. Il genocidio contro i palestinesi a Gaza è in corso da decenni, e le proteste internazionali si fanno sempre più intense, ma allo stesso tempo sempre più ostacolate.
Mentre i bombardamenti continuano a radere al suolo case, scuole, ospedali e intere famiglie a Gaza, la narrazione dominante nei media occidentali tende a giustificare o minimizzare la violenza, dipingendo Israele come l’unica vittima di un conflitto complesso. Chiunque tenti di sollevare la questione, denunciando le brutalità commesse contro i palestinesi, rischia di essere etichettato come estremista, antisemita o semplicemente “politicamente scorretto”.
L’esempio di Marco Borella è emblematico di questa deriva. Non ha esposto un messaggio estremista, non ha incitato alla violenza: ha semplicemente chiesto di fermare i bombardamenti e di porre fine a un genocidio. Eppure, il sistema è pronto a schiacciarlo, punendolo per aver osato esprimere una verità scomoda.
Questo episodio solleva interrogativi cruciali sullo stato attuale della libertà di espressione in Italia e in Occidente. È accettabile che, in un paese democratico, un semplice striscione venga considerato “propaganda politica” e che un cittadino venga multato per aver espresso una posizione etica? E se non è possibile manifestare pacificamente il proprio dissenso in un mercato, dove altro si potrebbe farlo?
Il problema non è solo legale, ma anche culturale. Stiamo assistendo a una crescente criminalizzazione del dissenso, dove chiunque si opponga alla narrazione dominante viene trattato come un potenziale nemico. Il risultato è un clima di paura e autocensura. Persino chi simpatizza per la causa palestinese, osservando episodi come quello di Marco, potrebbe essere dissuaso dal prendere posizione, temendo ripercussioni simili.
Il caso di Gaza è particolarmente significativo perché mette in luce l’ipocrisia e la complicità del sistema mediatico e politico internazionale. Le atrocità commesse contro il popolo palestinese sono ben documentate: secondo numerosi rapporti di organizzazioni umanitarie e per i diritti umani, la popolazione di Gaza vive sotto un blocco che dura da oltre 15 anni, in condizioni che molti definiscono un “campo di concentramento a cielo aperto”. Eppure, la condanna internazionale è sporadica e blanda, e chiunque tenti di far luce su questa realtà viene rapidamente silenziato.
La repressione contro manifestazioni di dissenso come quella di Marco Borella rappresenta solo una piccola parte di un sistema più ampio di controllo delle informazioni. Le voci che criticano apertamente l’operato di Israele, che denunciano il genocidio in corso a Gaza, sono spesso marginalizzate o completamente ignorate dai principali mezzi di comunicazione. E quando riescono a farsi sentire, vengono rapidamente bollate come “propaganda politica” o “istigazione all’odio”, come nel caso del banchetto di Desio.
Se vogliamo davvero cambiare questa situazione, è necessario un risveglio collettivo. La repressione del dissenso non è solo un problema di chi subisce multe o intimidazioni: è un problema che riguarda tutti noi. Il caso di Marco Borella ci ricorda che la libertà di espressione non è garantita automaticamente, e che ogni giorno dobbiamo lottare per difenderla.
Il nostro sito web che rappresenta un piccolo baluardo contro questa crescente censura vuole dare l’esempio. Certo ci rendiamo conto che potremmo essere boicottati. Eppure, ogni singola persona che riesce a percepire la realtà dietro le menzogne mediatiche rappresenta una piccola vittoria. Forse non cambieremo il mondo, ma se anche solo una persona, leggendo questo articolo, si renderà conto della manipolazione in atto e deciderà di agire, avremo raggiunto il nostro obiettivo. L’avremo resa libera.
Ciò che sta accadendo a Gaza non può più essere ignorato, e il caso di Marco non è semplicemente un episodio di repressione locale. È il simbolo di una battaglia più ampia per la verità, una battaglia che coinvolge tutti noi.