Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, ha rilasciato un’intervista in cui ha ripetuto gli stessi temi che sentiamo da anni: salari bassi, precarietà, evasione fiscale, lavoro nero e morti sul lavoro. Parole che, pur essendo di per sé giuste, non hanno portato ad alcun cambiamento tangibile. La sensazione è quella di ascoltare un disco rotto, bloccato su una traccia che non porta mai alla fine di una canzone, cioè alla risoluzione dei problemi.
Landini ha evidenziato nuovamente il problema dei salari, sottolineando come l’Italia detenga il record dei più bassi d’Europa, nonostante i lavoratori italiani siano tra i più impegnati in termini di ore di lavoro. Eppure, questa denuncia è vecchia, tanto quanto il fallimento del sindacato nel migliorare le condizioni retributive. Non è forse il compito primario di un sindacato quello di far aumentare i salari dei propri iscritti? Allora perché dopo decenni di proteste e scioperi, i salari sono ancora così bassi?
La precarietà lavorativa è l’altro cavallo di battaglia del sindacato, ma anche in questo caso, la musica è sempre la stessa. I dati parlano chiaro: milioni di italiani sono costretti a lavorare con contratti a termine, part-time involontari o false partite IVA. L’instabilità lavorativa, lungi dall’essere diminuita, è aumentata negli ultimi venti anni, segno inequivocabile del fallimento del sindacato nel proteggere i lavoratori da un mercato del lavoro sempre più frammentato e sfavorevole. Se il sindacato avesse davvero avuto il potere di bloccare le riforme precarizzanti, oggi non ci troveremmo in questa situazione.
L’evasione fiscale e il lavoro nero sono due piaghe croniche del sistema economico italiano. Anche qui, Landini ripete da anni la stessa denuncia, ma la realtà è che il fenomeno non accenna a diminuire. Le parole del sindacato sembrano prive di effetto, incapaci di spingere i governi a intraprendere azioni concrete. L’economia sommersa continua a prosperare, rendendo il lavoro regolare sempre meno competitivo e aumentando le disparità.
Uno dei temi più gravi toccati da Landini riguarda le morti sul lavoro. Ogni anno, centinaia di lavoratori perdono la vita a causa di incidenti sul lavoro, un altro triste primato europeo che l’Italia detiene da troppo tempo. Nonostante i sindacati continuino a denunciare la mancanza di sicurezza, non si vedono risultati concreti. Le leggi ci sono, ma spesso vengono ignorate, soprattutto nel settore degli appalti e subappalti, dove la frammentazione delle responsabilità rende difficilissimo individuare i veri colpevoli. Il sindacato, che dovrebbe vigilare su queste situazioni, appare impotente di fronte a una tragedia che si ripete anno dopo anno.
Landini ha anche menzionato la scarsa produttività del sistema economico italiano, legata a una mancanza di investimenti in innovazione e tecnologia. Ma qui emerge un’altra contraddizione. Cosa ha fatto concretamente il sindacato per spingere verso un cambiamento di rotta? Non sembra aver mobilitato né i lavoratori né l’opinione pubblica per ottenere riforme serie in tal senso. La produttività del lavoro è stagnante da decenni e non sembra esserci alcun piano concreto per invertirne la rotta.
Infine, l’accusa alle politiche di austerità è ormai un classico del repertorio sindacale. Le politiche di rigore imposte dall’Unione Europea sono state più volte criticate da Landini e dai suoi predecessori, ma alla fine la CGIL non è riuscita a proporre un’alternativa credibile. Si limitano a criticare, senza introdurre soluzioni fattibili. Paradossalmente, lo stesso Landini ha recentemente mostrato un’insolita apertura verso Mario Draghi, uno dei principali architetti delle politiche di austerità in Europa.
Il vero problema è che il sindacato non sembra più in grado di fare la differenza. Le stesse problematiche vengono ripetute da decenni senza che nulla cambi davvero. I lavoratori italiani, ormai disillusi, vedono i sindacati come istituzioni sempre più distanti, incapaci di proteggere i loro interessi e di ottenere risultati concreti. E così, il sindacato continua a ripetere lo stesso vecchio copione, senza mai uscire dalla spirale dell’inefficienza.
Il sindacato, che un tempo era il baluardo dei diritti dei lavoratori, oggi appare come una nave alla deriva, prigioniera di un mondo che è cambiato troppo in fretta e che non ha saputo comprendere. Se i problemi di sempre sono ancora qui, forse è il momento di riconoscere che il vecchio modello sindacale non funziona più e che bisognerebbe trovare un nuovo sistema di rappresentanza che si lasci questo inconcludente soggetto alle spalle.